16 – Agosto ‘85

agosto , 1985

Les Grands Ballets Canadiens

Attesa da tanti è arrivata a Spoleto quella danza, per antonomasia, che noi amiamo assai poco.
L’amiamo poco soprattutto quando è offerta in condizioni così trascurate, quando la musica è maltrattata e umiliata da riproduzioni pessime e si aggiunge come elemento estraneo.
Non ci piacciono proprio questi balletti in play back; lo spettacolo di danza deve venire costruendosi come unità inscindibile di gesto e di musica.
È disumano pensare che chi balla debba confrontarsi con un riproduttore meccanico, che non può comunque mettersi in sin toni a con i suoi sentimenti di quel momento, con il suo modo di esprimere i contenuti della coreografia e della musica.
Manca insomma la meraviglia di un impasto che si realizza, ogni volta irripetibilmente nuovo, sensibile anche al messaggio che viene dal pubblico.
I danzatori di questi Grands Ballets Canadiens presentano due programmi diversi, a sere alterne.
Noi abbiamo potuto seguire il Concerto Barocco, In Paradisum e Carmina Burana.
Concerto Barocco è una coreografia di Balanchine del 1940 sul Concerto in re minore per due violini di J.S. Bach, si rifà quindi a una concezione piuttosto accademica della danza e necessita, per risaltare, di esecuzioni perfette; ma i danzatori, non certo aiutati dalla pessima riproduzione musicale che rendeva tutte le note calanti, dovevano inseguire le tracce dei propri passi affidandosi soltanto alla memoria, per cui risultavano spesso fuori tempo, dando l’impressione di eseguire movimenti scoordinati tra di loro e privi di significato. .
La coreografia di James Kudelka per il balletto In Paradisum, su musiche di Michael J. Baker è molto più recente (1983). Ingenuamente simbolista intende esprimere le vicende del paese dei morti.
Tutto un aggrovigliarsi, contorcersi, lasciarsi e ritrovarsi, che suggestiona molto le anime semplici degli spettatori; ma che, a parte qualche efficace figura d’insieme e qualche passaggio ben eseguito, si ripete troppo ed è reso confuso dallo svolazzare delle lunghe gonne scure realizzate dal costumi sta Denis Joffre; la musica di Baker ha tutti i difetti della povertà di idee e della ripetitività stucchevole.
La terza parte, Carmina Burana, si basa, oltre che sulle splendide musiche di Orff, su di una coreografia di Fernand Nault che risale al 1966, arricchita dai costumi di François Barbeau e dalle scene di Robert Prévost, di buon effetto, dà la possibilità, per l’ampiezza dello svolgimento, di esternare tutto il patrimonio acquisito dalla compagnia, che ci pare però caratterizzato da scarsa originalità, e mancanza di una tradizione solidamente fondata. Ne risentono i danzatori, che paiono indecisi tra le scelte decisamente nuove e reminiscenze accademiche; così che risultano spesso imprecisi e poco comunicativi.