13 – Maggio ‘85

maggio , 1985

Al Ceppo, in via Panama 2, locale pariolino, del genere rustico-elegante, si mangia, come è prevedibile, assai male. Roma e il mondo intero sono infestati da locali di questo livello, in cui si mangia male, si è serviti in modo approssimativo e manca ogni ragione di interesse o di curiosità che li caratterizzi in qualche modo: non sono neppure orrendi, non suscitano raccapriccio, ma sono tediosi. Parlare di questo ristorante piuttosto che di un altro suo pari è una scelta casuale, giustificata solo dal dovere di chi pensa che la ristorazione abbia anche qualche obbligo verso chi, per scelta o per necessità, si siede al tavolo di un pubblico esercizio. Il conto finale non può essere solo una gabella sulla fame!

Certo non sono morti di fame i clienti, borghesi ed impiegati, che si avventurano nelle scelte tra un piatto e l’altro di un menù tanto presuntuoso sulla carta, quanto povero di sapori e sgangherato nella esecuzione dei piatti, siano essi quelli che derivano da una gloriosa cucina tradizionale, come i cremini e le olive fritte, o la zuppa di porri e il sauté di animelle e rognoncini, siano essi invece ammiccanti timidamente alla «nuova cucina», come la trota gelida, sommersa dalla salsa al rafano. L’eguale assenza di note allegre caratterizza primi e secondi, tutti «sotto vuoto spinto»: risotto verde con crescione e borragine, stracotto, spaghetti neri, scaloppine con salsa smitane, crème brulé e mousse al cioccolato. La lista dei vini si presenta assai ricca di italiani e francesi, ma spesso le bottiglie sono state avvilite da un trattamento trascurato e il vino ne ha sofferto. La tassa a fine pasto ci è parsa ingiusta.

Nessun bene ci aspettavamo, «battendo» la zona tra San Pietro e il mercato del Trionfale, un quartiere superaffollato di esercizi commerciali e di turisti traboccanti dai torpedoni, per cui il nostro animo era predisposto ad una sosta di routine quando ci siamo seduti ai tavoli del Trik-Trak, in via Tolemaide 19 con la nostra aria saccente di gastrosofi rassegnati. Il locale è ampio, i tavoli sono abbastanza fitti, eppure regna fin da subito una atmosfera di serenità; si è serviti in modo simpatico, anche se con qualche licenza nella forma. Fin da subito, si è confortati, oltre che dalla cordialità, da un ben assortito piatto di antipastini caldi, graziosamente offerti al commensale prima ancora che si passi alle ordinazioni: bevendo un giovane, gradevole e finemente perlato Prosecco di S. Polo abbiamo apprezzato la gustosa torta verde con cipolla, le fragranti crocchette, le stuzzicanti olive ascolane e la profumata pizza al rosmarino. Passando al pasto vero e proprio possiamo dire che le pennette alla montanara con funghi e carciofi erano ben cotte, sapide e senza panna; eccezionali ci sono parsi poi gli spaghetti al trik-trak, con vongole e porcini, piccanti di peperoncino: i due sapori dominanti, giustamente equilibrati, davano senso compiuto ad una ricetta di concezione piuttosto nuova; il passo ardito, però, ci è parso fatto a ragion veduta e non più lungo della gamba del cuoco! Purtroppo a questo punto è arrivato in tavola un vino bianco sardo dalla debole personalità, un Gregorius di Magoro, completamente al di sotto della situazione, annientato poi dallo splendore del successivo superbo piatto di fresche e prelibate mazzancolle e gamberi. Adeguato, invece, alla situazione un ottimo Amarone Allegrini del 1979, amaro al punto giusto e ricco del profumo del sole sulle «recie» del grappolo, che si sposava bene col brasato e col goulash di corretta professionalità. Tra i dolci ricordiamo un buon mille foglie ed una eccezionale «cannonata», ennesima variazione di un dolce piuttosto inflazionato, qui stranamente capace di ritrovare gusto e personalità. A degna conclusione un vasto assortimento di grappe, amari e superalcolici. Il costo di un banchetto tanto ricco per qualità e quantità non può essere troppo basso, ma rimane contenuto in limiti ragionevoli.