6 – Luglio & Agosto ‘84

agosto , 1984

Noi amiamo e apprezziamo l’Umbria – e Spoleto in particolare – da molto tempo e crediamo di conoscerla abbastanza bene anche dal punto di vista enogastronomico. Durante i giorni del festival noi abitiamo da queste parti proprio per poter goderne a pieno le meraviglie. Abbiamo parlato dei luoghi di ristorazione che abbiamo finora conosciuto in modo sincero e senza pudori; di alcuni bene, di altri male, di altri ancora malissimo. Noi rispettiamo la serietà di tutti coloro che sono impegnati con il loro lavoro in questo difficile settore, per questo esprimiamo senza riserve il nostro parere, ben sapendo che si può anche non essere d’accordo. Nel tentativo di dimostrare in qualche modo spirito di collaborazione vorremmo premettere ai giudizi che ancora andremo scrivendo due considerazioni.
La prima è che nella stragrande maggioranza dei ristoranti, osterie, trattorie, abbiamo trovato menù di una monotonia esasperante, indipendentemente dalla più o meno buona realizzazione. Siamo stufi di vederci sempre e soltanto presentare crostini al tartufo, strangozzi al tartufo, penne alla norcina; e grigliate miste, scaloppe ai funghi e tartufi, abbacchio scottadito; con le uniche variazioni – se mai – dei piatti più scottanti della ristorazione standard: ragù, tortellini, quella cosa detta alla milanese. Dei dessert poi non parliamo: sembra che in Umbria non esistano. Tutto questo mentre, invece, la cucina umbra è semplice, ma ricca di ricette, sapide, raffinate e originali. Possibile che non abbiamo mai trovato tra i primi quei buoni tagliolini all’acqua e farina, fatti in minestra con un semplice battuto, chiamati «blo-blo»; o i «frascarelli», specie di potentina di farina di grano; o la zuppa di farro; oppure l’impastoiata. Perché non inserire, tra i secondi, le varie preparazioni di anguille e agoni del Trasimeno, i lucci e le tinche in umido coi piselli di Bettona, per non parlare di sofisticatezze come la regina in porchetta o ancora: il sanguinaccio, la lingua in parmigiana, i mazzafegati. Tra i dolci di questi posti ricordiamo il brustengolo, di granturco, mela e mistrà; le ciarramicole all’alchermes, il torcolo o i panmalati. Insomma: certo i cuochi dell’Umbria ne conoscono più di noi!
La seconda considerazione riguarda i vini: sulla tavola vi portano sempre solo Trebbiano o Orvieto tra i bianchi, oppure, tra i rossi quello dei Colli perugini – che a noi non piace – il Montefalco, che a volte si trova eccellente. Ogni ristorante, anche semplice, non dovrebbe essere sfornito di quei sei o sette vini che in ogni zona possono facilmente essere reperibili, tra d.o.c. umbri e vini locali.

Enoteca Provinciale Umbra
Per proseguire il discorso sul vino: consigliamo una sosta in via Saffi, dove una targa in legno sulla porta di una ex antica bottega reca la scritta Enoteca Provinciale Umbra. All’interno un ambiente con scaffalature e bancone in legno chiaro, dove, con garbo e competenza, alcuni buoni vini umbri sono proposti alla degustazione – naturalmente possono essere acquistati in bottiglia. Vi diremo di quello che tra le altre cose, noi vi abbiamo trovato e gustato: un Grechetto Caprai dell’82, dal limpido colore giallo paglierino, leggermente profumato, dall’aroma non molto persistente ma gradevolissimo, che secondo noi è ormai giunto al suo limite di invecchiamento. Ci piace questo vino delicato e gentile, nato da uve di Grechetto e Malvasia, con piccole aggiunte di uve che variano secondo la località e il produttore e che va bevuto non troppo freddo. Tra i bianchi ancora un Trebbiano del Consorzio Provinciale, dell’83, leggermente frizzante, dal bel colore chiaro e dal sapore acidulo molto gradevole. Ancora un bianco d’Assisi dell’82, vinificato alla perfezione, che scivola in bocca, con un sottile profumo di rosa canina. Una Vernaccia di Cannara dell’83, rosso dal colore mattone brillante, di buona stoffa, che può accompagnare piatti anche abbastanza robusti.
Per finire, un Sagrantino di Montefalco dell’8l di Angelo Fongoli, dal colore rosso carico che, pur dichiarandosi secco, ha qualcosa di dolce, sul fondo amaro, e un buon profumo di viola mammola. Inoltre, gentilmente assistiti, si possono gustare piccole sfiziosità: piadine ripiene, bruschette, crostini, ecc.. Noi consigliamo di non accompagnare mai la degustazione dei vini, oltre che con il fumo delle sigarette, con quelle patatine industriali, dette chips, perché stravolgono il palato.

La Barcaccia
Alla Barcaccia, il ristorante di Piazza dei fratelli Bandiera, sembrerebbe che in cucina tengano un barile colmo di una pappetta in cui sia mescolata tra molti altri poco chiari ingredienti, un poco di tartufo; questa salsa viene poi profusa un po’ dappertutto: sui crostini, sugli strangozzi scotti, sulla trota desolatamene sola nel piatto e sul delirante e arrostito galletto amburghese. Ciò nonostante ancora più tristi sono i piatti – pochi – in cui non si ritrova l’onnipresente pomata, come i crostini al pomodoro e aglio e gli strangozzi alla spoletina. Nel dubbio se avremmo trovato o no l’ingrediente base anche nella zuppa inglese siamo usciti dal locale troppo grande e frastornante a rigenerarci alla vista della bella fonte di Piazza del Mercato, a due passi da lì.
Il conto è stato alto per un servizio non efficiente e i vini sono offerti con poco criterio e scelti con nessuna cura.

Tony’s
La trattoria e pizzeria «dei Duchi», da Toni, si trova in un luogo troppo bello: su diversi livelli, alcuni ampi locali, al pianterreno di uno dei solidi edifici storici della città, in via Saffi, ammiccano al turista, usando tutti gli specchietti dello stereotipo rustico-mondano, quindi noi ci siamo entrati con molta diffidenza. Il menù presentava una gamma di proposte più estesa del solito, persino i bocconcini alla umbra e la crescionda, con alcune escursioni bizzarre: tra gli antipasti la bottarga al limone e il palmito tropicale e tra le faziosità la frittata di mais. Anche la lista dei vini ci pare più variata del solito, sebbene un po’ assurda: il Matheus e il Custoza affiancati al Frascati e al Turà rosato.
Abbiamo assaggiato, come primi, un risotto ai funghi porcini ghiaioso, colloso di panna, con pezzi di fungo di incerta identità; le strengozze spoletine di fattura industriale, acquosamente al pomodoro; le pennette all’arrabbiata erano scotte e altro il palato non percepiva. Poi la girandola dei secondi, in ogni piatto una bandierina di una nazione del mondo – come nelle gelaterie italiane di Amburgo – sventolate su isolotti incredibili alla vista e al gusto: filetto al pepe verde, di un verde che tingeva le labbra e di sapore vinilico; i bocconcini alla umbra affogavano in un giallo ocra inspiegabile; la mozzarella al tartufo, di un bianco spettrale non si staccava dal suo tegame; la costata alla pizzaiola stingeva in rosa. Tra i contorni amarissime le melanzane al forno, crude e bruciate; l’assurda frittata al mais era gelata. Le bevande: per primo abbiamo degustato il bianco della casa, non sgradevole, denunciato come Frascati, ma per noi irriconoscibile; poi un insipido Custoza Montresor bianco, amaro e acidulo con un leggero sentore di tappo.
A questo punto fummo stupiti dalla buona qualità di un Merlot di Spello, di un bel rosso rubino, armonico e gradevole. Per dolce, gli affogati al whisky, perché la crescionda era finita, concludendo con una buona scelta di amari. Un conto eccezionalmente mite. Toni dichiara di essere un prestigiatore; noi pensiamo che non sia un mago della cucina.

La cantina
Se volete star leggeri, rilassati, in un angoletto splendido, e bere un delizioso Grechetto, dalla buona fisionomia e servito alla giusta temperatura, andate alla Cantina, dietro alla bella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo: un grande cantinone, con pochi tavoli fuori, manifesti di James Dean e reminescenze West Coast anche nella musica, semisgradevole come tutta la musica leggera. Mangerete una zuppa di verdura, che sarebbe più piacevole se non fosse troppo fredda, una buona frittata di zucchine, un carpaccio di buona carne (l’avremmo voluto un po’ piu condito), un vitello tonnato piacevole e dei peperoni buoni ma che, come non si deve, erano stati appena tolti dal frigorifero; una sopresa è una torta di frutta, non imbastardita, come al solito, dal liquore, con una panna freschissima e frutta dolci e saporite; non sappiano dirvi se provenga dalla cucina o venga fatta arrivare da altrove. Il prezzo è decisamente moderato.

Bar Gelateria Primavera
Se avete molto caldo e volete ristorarvi con uno squisito mangia-e-bevi, andate al bar gelateria Primavera, nella piazza del Mercato. In una grande coppa un ottimo gelato di e con frutta, una frutta fresca, profumata e saporita. Sono ottimi anche gli altri gelati, cremosi, dolci e non dolciastri. Per di più – ed è una cosa a cui badiamo molto – siete serviti in modo gentile e simpatico.

Gelateria Cordova
La gelateria bar Cordova, sulla piazza del Mercato segnala con un cartello che lì il gelato è «prodotto esclusivamente con latte intero, panna, zucchero e uova (cinque per litro)». Noi non lo mettiamo in dubbio, ma neppure voi metterete in dubbio che il risultato è assolutamente deludente. Una signora un po’ scorbutica dall’accento anglosassone vi offre una crema troppo gelida e a tocchetti, gelato all’amarena e acquoso e acidulo, un cioccolato scialbo e il gusto del gelato al caffè richiama alla mente il sapore lungo lungo dei caffè inglesi. Sul bancone spiccano due vasche di gelato rosa e azzurro: è il velato dei «puffi», noi volevamo assaggiarlo, ma, scandalizzatissima, la figlia di Albione ci ha informato che era delizia riservata esclusivamente ai bambini.

Raniero e Noemi
In un luogo un po’ anonimo, non lontano dalle fonti del Clitunno, sorge un grande edificio rustico-moderno; è il ristorante «Benedetti» di Raniero e Noemi. In un ambiente troppo vasto, con le pareti di pietra viva e nicchie con orciuoli, vi offriranno una cucina senza infamia e senza lode; con un innegabile pregio: un prezzo molto, molto contenuto. Tavoli puliti, servizio rapido, anche appena brusco. Noi abbiamo bevuto un buon rosso di Montefalco dell’81. Cosa vi diciamo dei piatti? Gli gnocchi col pesto leggermente rigidi, il pesto, corretto ma scarso, da cui esalava il buon profumo dell’olio umbro. La carbonara aveva due difetti; il primo poteva essere un incidente: la cottura passata da un bel po’; il secondo è da attribuire a quel flagello di Dio che è la panna nei sughi; gli strangozzi al tartufo erano ottimi, sapidi e di cottura perfetta. I secondi, sempliciotti, erano un saporito, ma un po’ secco, castrato di agnello alla griglia; un coniglio alla cacciatora, dal sugo debole, ma non spiacevole; una lombata banale e non sgradevole. Come dessert i soliti tartufi al cioccolato di produzione industriale. Un pranzo che, tutto sommato, non lascia né tristezze né acidità di stomaco.

Trattoria dell’Angelo
Una sera faceva caldo, eravamo usciti da uno spettacolo che ci dava da discutere; quasi senza avvedercene, entrammo nel ristorante dell’albergo dell’Angelo, a un passo dall’arco di Druso, a quell’ora silenzioso e quasi deserto. Tentammo di trasformare la discussione sull’estetica teatrale in una discussione su ciò che stavamo mangiando e bevendo; ma discussione non fu: eravamo assolutamente d’accordo sul fatto che stavamo mangiando e bevendo malissimo; poi tacemmo, sperando che tutto finisse in fretta. Dalla porta aperta cominciava ad entrare l’aria fresca.
Il balletto dei vini fu in effetti divertente: a parte il rosso dei colli perugini che – come abbiamo detto – a noi non piace, ci arrivò un inqualificabile Est Est Est, vino bianco, servito caldo, cui faceva pendant un di per sé dignitoso Chianti Frescobaldi dell’81 assolutamente ghiacciato; vedendoci esterrefatti, pensarono di portarci un vino di consolazione: non osammo far aprire quella bottiglia di misterioso e lodato vino spagnolo; tentarono di imporci un Merlot centenario e un Cabernet decrepito; terrorizzati ringraziammo. Intanto nei piatti sostavano ancora strangozzi al tartufo, sconditi; penne all’Angelo, vera pappetta alla panna; un agnello scottadito, troppo grasso; una costata troppo cotta e un gratinato di verdure spappolate. Insperabilmente, tra il resto, ci era stato servito anche un piatto più che gradevole: strangozzi al pizzico, conditi con una specie di bizzarro e spiritoso pesto. Prezzo sui livelli normali. Dopo aver pagato, fuggimmo e riprendemmo in piazza a discutere di teatro.