Bioetica clinica – Storia, bioetica e responsabilità

settembre , 1998

Tuttavia il rispetto della dignità della vita umana non è mai stato totale, restando sporadica utopia di qualche illuso e velleitario pensatore-lottatore. Terremoti, cataclismi, epidemie, hanno sempre reso precaria la vita umana; la rabbia e la furia dell’uomo contro l’altro uomo — homo homini lupus — ne hanno umiliato la dignità anche attraverso lo sfruttamento, la prevaricazione e la stessa schiavitù, ieri come oggi.
Probabilmente l’uomo non può imparare dal passato, ma oggi emerge un atteggiamento nuovo: più relativistico, che rinuncia al dogmatismo ed all’autocentrismo. Lo stesso occidente, sia pure lentamente ed a fatica, ammette di non essere necessariamente il centro del mondo e che altri valori sono organici al modo di essere di altri popoli, nati sotto altri cieli. Il relativismo culturale, però, appena formulato, è già un pericoloso serpente che si rivolta contro chi vi si accosta, propinandogli il veleno del qualunquismo banalizzante che nasconde in sé.
Tutte le società si fondano su valori coerenti, ma se nessun popolo deve essere giudicato in base ad altri valori, in nome di una presunta oggettività che nega qualunque contraddizione, allora diventa facilissimo che si rinunci ad ogni sentimento di responsabilitàverso la stessa dignità umana: tutto è così relativo che lo è lo stesso rispetto per la vita. Senza principi, che — pur consapevoli della loro ambiguità e perfettibilità—siano categorici ed assoluti nel rispetto di alcuni valori e dichiarino l’uguaglianza di tutti gli uomini, di ogni sesso, religione, cultura e condizione socio-economica, ogni sforzo diventa inutile e la storia proseguirà il suo cammino di inevitabile distruzione ed annientamento dell’umanità.
Questa contraddizione si è manifestata violentemente nell’ultimo scorcio di millennio e solo la tolleranza più consapevole si è opposta al qualunquismo vigliacco, sia affermando principi di responsabilità universali sia difendendo diritti individuali. Nessun essere umano — davvero — può darsi tregua, quali che siano il suo ruolo ed il suo potere sociale, culturale ed economico.

II
Prendere coscienza di questo significa anche rendersi conto della fragilità umana, che contraddice il potere della scienza e che con essa si scontra. L’aumento, a progressione geometrica, delle tecnologie a disposizione dell’uomo fa sì che egli ormai eserciti uno smisurato dominio sulla natura. Farmaci e tecniche di cura e di intervento danno a medici e terapeuti un’efficacia finora solo vagheggiata e sognata. La medicina che si basava, fino al secolo scorso, soprattutto, sulla suggestione — e ciò è vero ancora oggi, nel bene e nel male, perché anche questa può essere una tecnica opportuna — è giunta a conoscere la struttura stessa della materia vivente di cui si occupa e interviene su di essa: la genetica prospetta fantasie persino assurde di società future formate di doni, perfettamente costruiti e specializzati, convertiti e riciclati, fino ad illudersi di diventare capace della divina prerogativa di ri-creare l’uomo. Allo stesso tempo l’illusione fantascientifica rivela le sue debolezze ed i dogmi della genetica appena enunciati crollano, incalzati dalle ancor più nuove conoscenze, in una rincorsa all’ultima sentenza e risorsa tecnica.
È allora indispensabile che la scienza umilmente diventi consapevole della sua costante percezione di brancolare nel buio del mistero. Bisogna convincersi che malattia e morte sono comunque ancelle dell’uomo; dobbiamo essere ben cauti e fortemente critici, soprattutto davanti ai processi di glorificazione istituiti da giornalisti e divulgatori spesso impreparati e da scienziati correi. La tecnica è oggi — e forse lo è sempre stata — filosofia applicata, poiché nell’agire tecnologico si collocano valori e scelte che diventano i dati della realtà.
La tecnica è inoltre creazione e risoluzione di contrasti, per questo è divenuta ambito privilegiato anche dell’esercizio del diritto, oltre che della religione e della morale. La derivazione di questi esercizi è la politica, che non dovrebbe mai ridursi a pura e semplice ideologizzazione o privilegio di interessi particolari, ma avere come primo obiettivo quello di sentirsi responsabile degli scenari che prefigura.
La scienza e la politica sono però anche e soprattutto risposte alle richieste ed ai bisogni dell’uomo. L’uomo della società post-moderna ha esteso il dominio dei bisogni le-
per ciascuno e questo ben si evince dagli investimenti sulla salute degli Stati ad economia avanzata.
Questo è un terreno di incontro e di scontro: il diritto alla salute ed al benessere dell’individuo è sancito dalle dichiarazioni degli organismi internazionali, ma dove esso stia ed in cosa consista, quanto si debba essere disposti a pagare anche in termini economici è difficile stabilirlo. Quello che va difeso ad ogni costo è il diritto di tutti alla vita ed alla pari dignità di ciascuno. Rinunciarvi come hanno fatto i totalitarismi che hanno schiacciato l’individuo in nome della collettività, negando la sofferenza del singolo per un presunto superiore interesse; oppure privilegiare il particolare e premiare l’individualismo, come hanno fatto i sistemi capitalistici, rendendo i pochi molto felici a prezzo dello sfruttamento dei molti, è ugualmente disastroso per la dignità dell’uomo.

III
Si rende necessaria a questo punto una breve riflessione sui compiti della bioetica e sulle sue responsabilità
Cosa è la bioetica? Purtroppo allo stato attuale — dal punto di vista concettuale, ma anche da quello pratico — è poco più di un,flatus votis. L’impegno dei cosiddetti bioeticisti si rivolge a tutti i campi dell’agire umano. in modo però così generico, che si rischia che manchi loro uno strumento ed un oggetto precisi. Qualunque scienza ha bisogno di avere strumenti propri, se pur perfettibili. ed un oggetto specifico che la caratterizzi. La bioetica non ha né gli uni né l’altro: usa infatti gli strumenti del diritto, della medicina, della filosofia ecc. per riflettere sui doveri morali dell’uomo. Da sempre però la morale è un aspetto del pensiero umano: nessuno vive senza obiettivi e comportamenti morali che lo impegnino nei confronti degli altri. Perché allora solo anni recenti hanno visto la bioetica al centro dell’interesse? Forse perché quei principi che l’uomo ha sempre considerato indispensabili al dignitoso evolversi della vita sociale, proprio oggi, corrono il rischio di essere persi di vista nel mare delle contraddizioni ed hanno bisogno di essere chiariti e sistematicamente organizzati. La bioetica si propone infatti come complesso sistema di valutazione ed individuazione di procedure che possono servire a mediare tra interessi diversi; ad indicare e disciplinare modalità di intervento che non producano un mondo assurdo di uomini atterriti e malati, schiacciati da tecnici impazziti e dominati da poteri esplicitamente od occultamente
responsabilità; ma se ciò non può realisticamente coincidere con una pretesa di non “sporcarsi le mani”, cosa resta? Resta il dovere dello scienziato e del bioeticista di intervenire e lottare per affermare i principi generali e particolari in cui crede.

IV
Alla luce di quanto sopra, cosa significa responsabilità? Il termine che deriva dal latino responsare, dal participio passato di respondere (rRponsunz), entrato in uso nelle lingue europee dopo il 1700, indica la presa in carico da parte di qualcuno delle conseguenze di un’azione o di un’intenzione, sia in senso stretto sia in senso lato: si può parlare di responsabilità legale, morale, civile, personale ecc. Talvolta il termine designa anche il dovere che compete per ufficio o per delega verso qualcosa o qualcuno. In campo strettamente giuridico, la responsabilità indica la norma per cui un soggetto è chiamato a rispondere per legge, secondo le regole di un codice, civile o penale o di un regolamento amministrativo.
Gli antichi Greci non distinguevano “responsabilità” da “imputabilità” e da “causa”, usando per tutti questi significati il termine mila. Platone parla di responsabilità a proposito della libertà di scelta di vita nel mito di Fr: “La virtù non ha padrone; secondo che la onori o la spregi, ciascuno ne avrà più o meno. La responsabilità è di chi sceglie, il dio non è responsabile” (Repubblica, X , 617).
Accettare o no che esista una responsabilità — distinta dall’imputabilità—inquanto si è causa di qualcosa, implica conseguenze di non poco conto: “Assistiamo oggi ad un curioso paradosso: da un lato, dopo la moda dell’esistenzialismo e delle morali libertarie noi poniamo la libertà del soggetto come un potere assoluto, incompatibile con la minima determinazione d’ordine psicologico, sociale o economico; ma dall’altro, lo sviluppo della razionalità, nelle scienze esatte come nelle scienze umane, ci porta ad ammettere che l’uomo è interamente sottomesso al determinismo. in modo tale che, anche sotto il vuoto delle determinazioni reperibili, resterà il continente delle determinazioni nascoste” (LE Mattei, 1997, pag. 85, t.d.a.). Da sempre si sono affrontati due atteggiamenti filosofici oppcgi: da un lato, vi sono coloro che ritengono che l’essere umano non abbia libertà di scelta e quindi non esista il libero arbitrio: dall’altro lato, molti sono convinti della fondamentale libertà dell’uomo (bisogna distinguere comunque tra libertà giuridica e libero aria id rima ha
ma conseguenza politica e icnpli a E-ve-ji ,-;;; del diritto positivo; il secondo è un principio metafisico e psicologico che implica che l’essere umano possa operare scelte morali e pratiche in assoluta libertà da ogni tipo di determinismo meccanicistico o metafisico).
Dagli antichi stoici all’idealismo, al marxismo e alla psicoanalisi freudiana, molti hanno pensato che la libertà di scelta fosse per l’uomo una pura e semplice illusione: motivazioni consce e inconsce, condizionamenti psichici e fisici determinerebbero sempre le scelte dell’essere umano che può solo essere “spettatore” delle proprie azioni. Il moderno biologismo e le implicazioni filosofiche della scienza genetica hanno poi rafforzato la convinzione che ad influire sui comportamenti siano programmi genetici legati all’evoluzione della specie, per quanto attiene sia al fenotipo sia al genotipo, all’individuo e al gruppo.
Sostenitori del libero arbitrio si trovano ugualmente da sempre nella storia del pensiero umano. Dalla concezione aristotelica dell’assoluta libertà dell’uomo, ripresa con diverse angolazioni del pensiero della Scolastica e di S. Tommaso d’Aquino si è passati, attraverso Leibniz, alla teorizzazione kantiana del libero arbitrio: “le azioni dell’uomo, benché siano necessarie per i loro motivi determinanti, che precedono nel tempo, tuttavia le chiamiamo libere perché questi motivi sono rappresentazioni interne prodotte mediante le nostre proprie forze, per le quali secondo circostanze causanti sono prodotti di desideri, e quindi sono fatte azioni a nostro piacimento” (Kant [17881, 1995, pp. 118-119).
In tempi moderni il libero arbitrio ha trovato i suoi teorizzatori soprattutto nell’esistenzialismo di Heidegger e Sartre e nei nuovi fisici e genetisti come Jacques Monod e Moto Kimura.
Sigmund Freud, legato al positivismo empiristico del suo tempo, ha preceduto, in fondo, le posizioni degli ultimi neo-genetisti, teorizzando che il comportamento umano altro non sarebbe che la risultante di forze in conflitto o in sinergia le une con le altre e quindi il concetto di responsabilità morale verrebbe a perdere ogni senso: “Comunque, nell’idea del sosia, (.. .) possono essere incorporate ogni sorta di possibilità non realizzate che il destino potrebbe tenere in serbo e alle quali la fantasia vuole ancora aggrapparsi, e inoltre tutte le aspirazioni dell’Io che per sfavorevoli circostanze esterne non hanno potuto realizzarsi, oltre a tutte le decisioni della volontà che sono state represse e che hanno prodotto l’illusione del libero arbitrio”. (Freud, 1919, pag. 97)
Da questo— a rigore —consegue consegue anche la negazione di ogni responsabilità giuridica: nessun delitto è commesso da qualcuno che avrebbe potuto — volendo — non perpetrarlo. per libera scelta. Ne deriva che la legge e il diritto sono una farsa, se si accetta quello che la scienza crede di aver chiarito: se fosse dimostrato che il libero arbitrio non esiste non resterebbe che accettare il ruolo di marionette che rispondono impotenti ai comandi di un più o meno ignoto burattinaio.

V
Se fosse vero che “Ciò che è razionale è reale; e ciò che è male è razionale” (Hegel, 1821, 1954 ), sarebbe improponibile, però, anche ogni tentativo di costruire una scienza che rispondesse al nome di bioetica, in quanto verrebbero meno il principio di autonomia e quello di giustizia che, con quelli di beneficialità e non maleficienza, costituiscono la sua natura.
Per questo bisogna operare come se l’uomo fosse libero e quindi responsabile dei suoi comportamenti, che, pure, possono essere in qualche misura prevedibili, in quanto probabili. Sulla possibilità di previsione si regge infatti la scienza e quindi anche la medicina.
Date queste condizioni, ciascuno deve responsabilmente saper prevedere l’effetto del proprio agire su di sé e sugli altri. Andando in profondità, è allora possibile rendersi conto che il libero aibitrio, oltre che un’esigenza psichica, è una presenza percepibile all’interno del principio di coerenza. Lo scienziato, il filosofo, il moralista e il bioeticista debbono allora assumere l’ atteggiamento del “doppio come se”: comportarsi cioè come se fosse possibile prevedere ed anche come se gli uomini fossero liberi di scegliere. In questo doppio come se sta il significato della bioetica e forse quello della vita stessa: “Io voglio comportarmi da una parte come se la mia previsione avesse un valore, e quindi gli esseri umani fossero determinati, dall’altra, riconoscendo a ciascuno la responsabilità e l’unicità dell’esperienza individuale”. (Gindro S., 1993, pag. 194).