43 – Maggio ‘88

maggio , 1988

Di qualità si muore

Uno degli aspetti paradossali della polemica recentemente riaperta sulla legge n. 194 del 1978, che garantisce la libertà di aborto è quello per cui ogni opposizione di principio all’aborto, coinciderebbe con l’imposizione alla donna di una maternità non voluta. Di fatto, ci sono modi molto meno costosi, individualmente e socialmente, per evitare il rischio di essere madri contro voglia (anche senza ricorrere allo spauracchio di una castità che costituirebbe un’insopportabile rinuncia all’amore e al piacere): si potrebbe insomma imparare che fare l’amore e concepire possono essere due atteggiamenti ben distinti, con modi e fini profondamente diversi. Come si è rapidamente costruita una letteratura scientifica e popolare in grado di insegnare a uomini e a donne, omosessuali ed eterosessuali, un codice di comportamento che preservi dall’AIDS senza negarsi il diritto di legittime pratiche amorose, così si sarebbe potuto fare, prima anche dell’approvazione della legge, per evitare i rischi di una maternità «non voluta» (ma da quando?). Nessuna donna deve accettare controvoglia di essere madre; nessun uomo può e deve costringervela e forse neanche Dio, checchè ne dicano i preti. La legge attualmente in vigore nel nostro paese e altre più o meno analoghe vigenti all’estero rapresentano in fondo un elemento irrilevante:
non cercano di risolvere il problema sociale e tanto meno il problema morale; sono tutt’al più palliativi «profilattici» di una situazione di incultura nei confronti di una realtà così complessa come il rapporto tra il corpo, la sessualità, la procreazione e l’ambiente. Presi tra gli opposti fuochi del Movimento Popolare e del partito radicale, che basano su identiche ignoranze il loro trascinante populismo, gli italiani fingono di credere che il dovere dello Stato sia di risolvere con la legge un problema di libertà e di responsabilità nei confronti della vita, senza rendersi conto che lo Stato ha già perso da tempo sia la battaglia per la libertà sia quella per la vita. Preti e vescovi, quando non siano iscritti a un partito, fanno il loro dovere, richiamando a una rassegnata ortodossia. Quale sia la voce della divinità non è dato saperlo; certo non è quella di chi piange sull’aborto e tace di fronte a mille altri delitti. Dal canto loro i difensori della non violenza e della libertà superano i conflitti negando a quelle vite di essere considerate alla pari con tutte le altre vite: un po’ meno vite, meno ancora persone, certamente non soggetti sociali, gli embrioni sembrano grumi di pura materia in cui un giorno qualcuno (aborto non prevenendo) insufflerà quello spirito che rende finalmente uomini e donne, cittadini ed elettori, filosofi e artisti. La qualità della vita è una battaglia che può essere legittimamente combattuta solo dopo che si è vinta, nelle coscienze e nella pratica, la battaglia per la vita. Nell’attesa ci sono le mille ineluttabili necessità di morte: in Palestina come in clinica ostetrica, in nome della legge e della libertà.